Lavorare nell’emergenza

Lavorare nell’emergenza

Inutile negarlo la situazione è molto seria e lo resterà per non poco tempo. Dobbiamo affrontarla senza farci vincere dalla paura, ma guardando in faccia alla realtà in attesa del vaccino e di terapie più efficaci. Certo ci vuole responsabilità, ci vuole disciplina che non vuol dire sottomissione ma esercizio saggio della libertà di ognuno. Lo avevano capito gli antichi romani che punivano coloro che trasgredivano anche quando avevano dimostrato valore o avevano vinto battaglie importanti come nel caso di Fabio Massimo Rulliano che disobbedendo agli ordini del suo console Papirio Cursore sconfisse gli storici nemici di Roma, i Sanniti. E rischiò la pelle. Disciplina vuol dire educazione civile. Vuol dire rispetto della persona e della libertà di ognuno. Vuol dire garantire la sopravvivenza a volte. Ed oggi ci accorgiamo di aver logorato questo valore senza averne in cambio nulla di positivo neppure sul terreno della libertà se non un degrado nei rapporti fra cittadini che diventa pericoloso.

 Però diciamocela tutta: in estate e non solo in Italia ma in Europa è stato commesso il gigantesco errore di allentare i limiti che ci eravamo imposti. E purtroppo il Governo, la politica ha dato prova di colpevole inerzia. Ma quello che più intristisce è che non si intravede una dialettica politica fra maggioranza ed opposizione all’altezza di questo difficile momento. Soprattutto per responsabilità della attuale destra. Ma non si può certo sentirsi incoraggiati dalle stesse ricorrenti liti all’interno della maggioranza politica, fra questa e le Regioni quando invece occorreva indicare una direzione di marcia e restare coerenti con essa. Quello che è mancato del resto anche in Europa che ha fallito su questo versante dimenticando troppo in fretta quella unità di intenti in estate con il comune ricorso ad interventi straordinari come il Sure per l’occupazione, l’azione della Bce e lo stesso Recovery fund.  

Il nostro mondo del lavoro è parte in causa di questa difficile situazione. Ma senza metterci medaglie dobbiamo almeno sottolineare che se la produzione non è crollata lo deve anche alla abnegazione ed ai rischi che si sono assunti i lavoratori. Lo si deve agli accordi ottenuti su Cig e licenziamenti che evitano certamente drammi sociali ancora più pesanti. Il sindacato ha fatto in questo senso il suo dovere. Come i lavoratori.

Ma non illudiamoci. Non serve la palla di vetro per comprendere che non basta tamponare gli effetti peggiori della emergenza. Pensiamo alla nostra città, privata del turismo e, se ci fosse una nuova chiusura quasi totale, del lavoro dei cantieri. Gli effetti saranno disastrosi e la questione non si risolve dicendo “non si chiuda”, ma sapendo come intervenire e come provvedere per giungere nei tempi più rapidi alla ripresa. Ad esempio: è inevitabile che molte scuole rimarranno chiuse, ma i lavori per sistemarle potrebbero offrire una opportunità alle imprese. E la stressa situazione della sanità suggerisce l’opportunità di piani d’intervento nei quali il lavoro edile diventa indispensabile.  Ma tutto questo lo si può fare solo in presenza di un costante confronto fra Istituzioni e parti sociali. Altrimenti il rischio, lo abbiamo già visto nella nostra città e non solo, è che la protesta monti ed in essa si insinuino violenti e mestatori che la indirizzano verso una inaccettabile violenza.

Proprio per tale motivo servirebbe che tutto il lavoro che si può mantenere in piedi venga garantito con certezze e non propaganda o promesse e con la necessaria sicurezza.  Ma non solo: non vanno ripetuti gli errori di primavera quando la Cig è stata promessa ma molti lavoratori l’hanno avuto con un vergognoso ritardo. Ed alcuni aspettano ancora. Ed ancora: dopo marzo finirà la moratoria sui licenziamenti e quindi ci sarà da temere uno tsunami se nel frattempo non si provvederà a piani di ripresa produttiva e soprattutto a corsi di formazione possibile anche on-line che mettano in grado i futuri licenziandi di non perdere il lavoro o di ritrovarlo. La formazione è possibile, ci sono le strutture, ma non si vede ancora la volontà politica sufficiente a coprire questo periodo con interventi utili per evitare disastri sociali.

Ma anche sul piano legislativo si deve fare di più. Uno degli strumenti più immediati per permettere in particolare alle piccole imprese di lavorare è il bonus del 110%. Certo, la contraddizione oggi è evidente: se ci sono grossi limiti ad entrare nelle case per timore di contagio è molto complicato eseguire i lavori. Ma fosse solo questo: in realtà ancora non sono chiarite tutte le modalità di questo bonus, compresa la partecipazione delle banche. Infine, non si deve permettere che la pandemia diventi la scappatoia per far aumentare il lavoro nero ed irregolare. I costi sociali e quelli della sicurezza che pagheremmo dopo sarebbero non solo ingiusti ma drammaticamente elevati. Dunque, mai più ritardi, mai più incertezze sulle scelte fondamentali. Non ce lo possiamo permettere. E bisogna imboccare con decisione la via delle politiche sociali. Una delle priorità, lo ribadiamo, è la formazione. Formazione vuol dire lavoro, molto più che l’inesistente e sterile sbocco verso un fantomatico lavoro promesso dal reddito di cittadinanza. E formazione vuol dire anche speranza concreta di non rimanere senza una occupazione.  In questo senso la nostra bilateralità voluta e difesa fortemente da sindacato offre la possibilità di agire in modo rapido e costruttivo. Ma serve una risposta politica in primo luogo su tutti i problemi che riguardano la sorte del lavoro. A partire dalle nostre Istituzioni locali, Regione Comune. E fino ad ora l’attesa è diventata molto lunga, con la Giunta romana… troppo lunga. 

Giovanni (Agostino) Calcagno

Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio