La mafia non è mai un’azienda in crisi

 La mafia non è mai un’azienda in crisi

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mafiaSe alle famiglie e alle imprese italiane le cose vanno male, non si può dire la stessa cosa di quella che forse è la prima azienda italiana, quella dell’illegalità e del crimine. Esiste semmai un nesso immediato tra crisi dell’economia formale e legale da un lato, e l’incremento di quella in nero e clandestina dall’altro. A Roma e provincia, negli ultimi quattro anni, nei cantieri si sono persi almeno 17mila posti di lavoro. A ciò si aggiunge l’abituale spezzettamento delle imprese, che lavorano perlopiù in subappalto.  Quando queste, per mancanza di liquidità, devono ricorrere a finanziamenti, benché abbiano un discreto portafoglio clienti si trovano spesso nell’impossibilità di utilizzare il credito regolare.

La mafia non è mai un’azienda in crisi

Se alle famiglie e alle imprese italiane le cose vanno male, non si può dire la stessa cosa di quella che forse è la prima azienda italiana, quella dell’illegalità e del crimine. Esiste semmai un nesso immediato tra crisi dell’economia formale e legale da un lato, e l’incremento di quella in nero e clandestina dall’altro. A Roma e provincia, negli ultimi quattro anni, nei cantieri si sono persi almeno 17mila posti di lavoro. A ciò si aggiunge l’abituale spezzettamento delle imprese, che lavorano perlopiù in subappalto.  Quando queste, per mancanza di liquidità, devono ricorrere a finanziamenti, benché abbiano un discreto portafoglio clienti si trovano spesso nell’impossibilità di utilizzare il credito regolare. Le banche da tempo praticano una politica di stretta creditizia e i committenti derogano nei pagamenti. A quel punto diventano un boccone appetitoso per il circuito mafioso, che da sempre utilizza il settore edile come strumento di riciclaggio delle risorse finanziarie provenienti dalle tante attività illecite. La mafia soddisfa la domanda di contante che sta alla base della crisi di molte aziende. I capitali sono immediatamente disponibili per l’acquisto di stabili, palazzine e lotti, ma anche per rilevare le imprese in difficoltà. Non è solo un’acquisizione di beni, quella che si verifica, ma un inquinamento dell’intera filiera produttiva poiché la mafia impone, passo dopo passo, le sue regole all’intero settore. Ed è proprio nei meccanismi degli appalti pubblici che si annidano i rischi maggiori. Il sistema dell’assegnazione a ribasso si sta rivelando infatti un volano per la presenza criminale. Certe offerte, abbondantemente al di sotto della soglia minima di mercato, rivelano che i concorrenti hanno dotazioni economiche sospette. A Roma, la recente revoca ad un’impresa di un contratto del valore di alcuni milioni di euro per un lotto di lavori relativo a “Roma Metropolitane” e “Metro C” ne è la prova. In generale, la politica voluta dai governi che si sono succeduti in questi ultimi anni e perseguita dalle amministrazioni pubbliche (quella di comprimere i costi il più possibile), si sta rivelando un’arma a doppio taglio, favorendo le imprese criminali che hanno un alto livello di capitalizzazione (derivante dal denaro sporco)  impensabile per quelle legali.  Le aziende mafiose non puntano al profitto derivante dall’assegnazione dell’appalto; piuttosto utilizzano le circostanze per riciclare le ricchezze illegali, facendo tabula rasa dei diritti dei lavoratori, quasi tutti in nero e reclutati con il sistema del caporalato. Per contrastare questa situazione sul piano giuridico basterebbe applicare con  sistematicità le norme contenute negli articoli 87 e 88 del Codice degli appalti pubblici, relative  ai «criteri di verifica delle offerte anormalmente basse» e al «procedimento di verifica e di esclusione delle offerte anormalmente basse». Con ciò, e insieme a un riscontro incrociato dei dati, cosa che oggi l’informatizzazione permette, si potrebbe avere un quadro chiaro della situazione, rilevando da subito le anomalie. Eppure sembra che l’amministrazione pubblica sia ancora poco sensibile a quelle che invece, per le imprese private e i lavoratori, è ormai una vera emergenza.