EDILI, ANCORA MORTI SUL LAVORO

EDILI, ANCORA MORTI SUL LAVORO

L’ultimo tragico evento in cui ha visto perdere la vita un operaio di Affile conferma purtroppo che le morti sul lavoro continuano con una impressionante e tragica regolarità, ma a quanto pare fanno sempre meno notizia e soprattutto sono preda di una inaccettabile indifferenza della politica e del Governo che a parole si dice essere vicino al popolo. Non certo al popolo dei lavoratori che rischia la vita anche perché troppe contraddizioni nelle regole e nei comportamenti pratici rendono insicuro il lavoro. E non ci si può meravigliare allora se le cifre di quest’anno sono davvero angoscianti con il Lazio che emerge nella triste classifica delle regioni più colpite dal fenomeno, subito dietro la Lombardia.

Emblematico è anche il caso del lavoratore straniero deceduto di recente sulla Roma-Civitavecchia. Lavorava per un subappalto, sembra che fosse inquadrato con un contratto di lavoro non edile ed era lì per la manutenzione di quei viadotti diventati improvvisamente celebri per le loro magagne dopo la tragedia del Ponte di Genova. Viene legittimo chiedersi allora se le probabilità di queste tristi morte non potevano essere ridotte, o eliminate, in un contesto del tutto diverso. Ovvero rispettando il contratto edile che prevede norme precise sulla sicurezza; ovvero controllare e limitare il ricorso al subappalto come invece disinvoltamente fa la famosa e inattuata legge sblocca-cantieri. Ovvero sfuggire da parte del Governo e della politica alla tentazione della facile pubblicità sui viadotti da “sanare”, per procedere con dei progetti davvero seri e nei quali vi fosse una reale centralità per la sicurezza del lavoro.

Da fare per questo Governo e per il Parlamento non mancherebbe certo: affrontare il nodo del dumping contrattuale eliminando quella giungla di contratti che esistono in un solo luogo di lavoro e che per trovare le condizioni più favorevoli recidono i vincoli dei diritti e della sicurezza che invece restano, come vediamo troppo spesso, essenziali se non si vuole trasformare il lavoro in una sfida alla morte ed alla invalidità.

La deregulation che sta imperversando nel lavoro e nel lavoro edile deve finire. E serve allora un percorso fatto di confronti e di scelte chiare al quale finora in troppi si sono affrancati. Se si vuole abbassare il costo del lavoro, bene si facilitino gli investimenti, si tagli il cuneo fiscale, si vigili sulle difficoltà che le imprese incontrano nell’avere credito. Ma si cominci pure a disboscare la giungla sempre più intricata di una realtà del lavoro nella quale spariscono le certezze sulle condizioni dei lavoratori ed aumentano gli incidenti e le vittime di essi.

Anche perché di questo passo ancora una volta aumenteranno le distanze fra due Italie: quella che riconosce cittadinanza al problema della sicurezza e quella che invece aggira la questione anche perché pensa di farla franca. Quella che sta in Europa e quella che arranca con tutti i suoi ritardi. Ma in un’Italia così divisa come sperare che la sicurezza sul lavoro abbia un qualche significato?

Non è più accettabile uno scenario di questo tipo. Accentua le diseguaglianze, oltre che i rischi sul lavoro, quando ci sarebbe un estremo bisogno di ridurle. Forse si sottovaluta in particolare le conseguenze più generali della deriva verso la quale è indirizzato un Paese nel quale la parola “politica” significa sempre meno. A cominciare dall’abbandono senza alcuna correzione di rotta in cui è lasciata Roma, la Capitale, al fossato sempre più profondo che si sta determinando fra il Nord del Paese e le altre aree, in particolare modo quelle del sud. Si giunge al colmo che perfino la sede centrale dell’Associazione bancaria Italiana potrebbe traslocare dalla Capitale verso Milano, dando un segnale inequivocabile anche al mondo finanziario internazionale di dove sta… l’Italia che conta, della quale occuparsi davvero. Ed invece questo Paese avrebbe necessità di poter contare su atti e strategie economiche che abbiano anche un valore unificante. Se al centro-sud rimane solo una “copertura” assistenziale e para-pubblica, come frenare la desertificazione giovanile o quella economica?  La ripresa autunnale si annuncia insomma gravida di difficili problemi aperti. Ma è la rotta che deve mutare se non si vuole imboccare strade pericolose. Ed il tema della sicurezza non può avere solo una valenza economica, perché fa parte dei valori di una società e di una economia che vogliono dirsi davvero civili. Finora non ci siamo, siamo molto lontani. I sindacati non hanno smesso di incalzare su questo drammatico problema imprese e Istituzioni. E nessuno si illuda che la mancanza di risposte ci farà desistere. Andremo avanti con unità, proposte e determinazione continuando con la nostra lotta a riempire le piazze. Ci aspetta un autunno davvero caldo.

 

Giovanni (Agostino) Calcagno

Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio