Il calo del fatturato industriale registrato dall’Istat ci mette in guardia nuovamente sui rischi di recessione cui stiamo andando incontro. Il nostro settore e Roma in particolare potrebbero farne le spese. Ormai le stime sulla crescita zero o quasi si moltiplicano, mentre non si vede alcuna schiarita sul rilancio degli investimenti, specie nelle costruzioni, che sarebbe l’unico modo ormai per evitare questa prospettiva.
Ormai il periodo che va dall’uscita della crisi fino a metà del 2018 non viene più nemmeno considerato un momento di ripresa economica quanto, per dirla con il Cresme, una sorta di falsa partenza…
E noi edili ci siamo in mezzo. Inutile piangersi addosso, non ha senso e non sta nella nostra tradizione di sindacato che guarda avanti, ma occorre intensificare la pressione nei confronti delle Istituzioni, a partire da quelle locali, per aggirare la tempesta economica che pare avvicinarsi. Il tempo c’è ancora, ma pare che manchi sia la volontà politica di reagire, sia la volontà di dialogo per collaborare a rimettere in moto la situazione economica. Siamo al paradosso: agli Stati Uniti manca poco per temere nuove bolle immobiliari, in Italia la ripresina a macchia di leopardo del settore assomiglia invece ad una fragile panna montata.
Di recente l’amministrazione comunale di Roma ha rivendicato il merito di aver fatto diminuire lo spaventoso debito accumulato in anni ed anni. Bene, ma c’è da chiedersi se si tratti di sola buona amministrazione oppure anche di rinuncia a rivitalizzare l’economia di Roma capitale e fermare l’inesorabile degrado che è sotto gli occhi di tutti e che può peggiorare specialmente sui trasporti e sul problema endemico della nettezza urbana. La nostra speranza era quella di sfruttare la crescita economica trainata dalla domanda interna per riaprire i cantieri e recuperare lavoro ed attività economiche collegate al settore. Per ora questa speranza non ha gambe se non nella determinazione sindacale a non cedere, a reclamare una svolta. A marzo si arriverà allo sciopero, ma che non nasce da una sterile protesta, bensì da richieste e proposte molto concrete.
Nel frattempo, è preoccupante che si ricominci a parlare di manovra correttiva dei conti pubblici, ignorando invece il capitolo fondamentale delle opere cantierabili. Di questo passo assisteremo al solito rituale che scarica sui contribuenti e sui cittadini l’immobilismo politico. Sarebbe invece il caso di cambiare strada.
Fra qualche mese combatteremo probabilmente in una nuova liturgica rievocazione dell’autunno caldo con i soliti pro e contro. Con le solite demonizzazioni o viceversa nostalgie retoriche. Vale la pena di ricordare allora che la prima grande manifestazione per quei rinnovi contrattuali che fecero epoca la si deve, a Roma, agli edili. E che la firma del primo grande contratto dei diritti oltre che di aumenti salariali più dignitosi si deve ancora una volta agli edili. E se qualcuno chiederà quale rapporto può intercorrere fra due realtà economiche e sociali così diverse e lontane, non abbiamo alcuna esitazione a rispondere: ad unire quei due periodi è la forza nelle proprie idee, l’unità nelle battaglie per lo sviluppo, la coerenza nelle tutele decisive per i lavoratori che la nostra categoria ha saputo esprimere ed in grado di farlo anche in questa nuova difficile congiuntura. Per questi motivi lanciamo un appello a tutti i lavoratori edili, ai lavoratori dei settori collegati, alle categorie a noi vicine affinché il 15 marzo prossimo a piazza del popolo unitariamente possiamo far sentire con forza e determinazione le nostre ragioni , il nostro grido di allarme per un settore agonizzante e senza futuro. Con forza rivendichiamo un immediato rilancio delle infrastrutture utili al nostro paese, utili alla nostra economia sempre più in decrescita.
Giovanni (Agostino) Calcagno
Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio