Inutile girarci attorno: il settore delle costruzioni non è considerato dalla classe dirigente di questo Paese quel volano di ripresa che potrebbe e dovrebbe essere. Ed allora “non ci fermiamo” ed il 15 novembre i nostri presidi in 100 luoghi d’Italia daranno voce alle nostra volontà di non farci rimettere all’angolo da una politica economica che oggi appare del tutto insufficiente a ricreare condizioni reali per la crescita, occupazione stabile, riconoscimento di diritti che sono fondamentali per il mondo del lavoro e per il nostro settore.
Ma c’è di più: sta sfarinandosi in modo allarmante la prospettiva di garantire un futuro industriale al nostro Paese. E’ il caso della preoccupante confusione sulla situazione dell’acciaio, della incertezza sul futuro dell’auto e dell’immobilismo sulle grandi opere e sulla messa in sicurezza del territorio.
Questo Governo se non reagisce in tempo corre il rischio di passare, con quelli che lo hanno preceduto, come uno degli artefici colpevoli della deindustrializzazione italiana e che, quindi, ha contribuito a mettere una pietra tombale sulle potenzialità industriali dell’Italia del futuro.
E’ quello che dobbiamo impedire. Per il nostro settore parlano da soli dati ed elementi di riflessione quanto mai chiari e spietati: secondo l’Istat l’indice di fiducia del settore dell’edilizia è l’unico che ad ottobre volge al ribasso. Non possiamo meravigliarci: c’è troppa indifferenza istituzionale, centrale e locale, nei confronti del nostro settore e di quelli a noi collegati per creare uno scenario positivo.
In secondo luogo i disastri del maltempo di questo periodo mettono nuovamente in primo piano l’esigenza di un grande progetto di messa in sicurezza dei nostri territori che purtroppo però non scalda l’animo dei nostri politici. Il risultato è presto detto: nuovi stanziamenti di necessità per tappare le falle peggiori. Tutto il resto, ovvero quello che si dovrebbe fare da subito per non ricadere negli attuali problemi, passa in secondo piano.
Eppure il nostro settore rappresenta a tutt’oggi più del 20% del Pil nazionale. Ma sembra che questo dato significativo che potrebbe essere aumentato nell’interesse dell’intera economia nazionale finisca per diventare un fantasma irrilevante per la politica economica di questo Paese.
Proprio non ci siamo. Occorre battersi con convinzione per dare una vera scossa all’inerzia, spesso anche frutto di incapacità, che impedisce al nostro settore di dare quel contributo utile all’economia italiana.
Nel Lazio l’appuntamento è in tre luoghi-simbolo dei problemi che dobbiamo affrontare. A Rieti per ribadire con forza che serve ben altra decisione ed impegno per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma; a Piazza Santi Apostoli a Roma, sede storica delle mobilitazioni dei lavoratori edili, per sostenere la necessità di una radicale svolta nella politica economica della città che sta sprofondando in un degrado sempre più inqualificabile. Opere ferme ed un tasso di disoccupazione in aumento: è ora di dire basta al “non fare” di una giunta che invece pare pensare solo alla sua rielezione che stride in modo devastante con l’abbandono in cui versa la Capitale d’Italia.
Ed infine un altro presidio lungo la Pontina per rivendicare l’esigenza di una autostrada Roma-Latina all’altezza dei tempi ed in grado di garantire una ben diversa sicurezza.
Lo slogan scelto per questa nuova grande manifestazione di forza ed unità dei lavoratori edili è non a caso “rilanciare il settore delle costruzioni, per rilanciare il Paese”. Una classe politica e di Governo saggia e realistica dovrebbe cogliere il valore costruttivo di questa nuova discesa in campo di un grande movimento di lavoratori. Non basta riaprire le porte di Palazzo Chigi alle forze sociali, servono scelte concrete, condivisione delle proposte sindacali, indicazione di priorità da non smarrire nei meandri di una competizione politica che assai poco di buono sta offrendo sul piano economico e sociale al Paese e pare più interessata allo scontro che non alla soluzione dei problemi. Occorre una svolta chiara con indirizzi di politica industriale davvero convincenti. Ed è necessario capire quale è la vera intenzione di favorire investimenti capaci di rimettere in circolo nella nostra asfittica economia risorse in grado di diventare di nuovo motore di sviluppo creando nuovi posti di lavoro.
Ma non è tutto: con questa nuova giornata di lotta noi intendiamo ribadire che il settore non si può rimettere in moto riducendo i diritti e le tutele dei lavoratori. Non ce la si può cavare con maggiore subappalto a buon mercato. Non si può dimenticare che questo è stato ed è un anno tremendo per gli infortuni sul lavoro. Non si può tollerare impunemente il caos di contratti nei cantieri.
Roma del resto è un test quanto mai significativo dello stato del settore: è tutto o quasi fermo, i sindacati non sono considerati interlocutori da questa Giunta che ha occhi solo per quei provvedimenti con i quali arrivare al nuovo appuntamento elettorale per chiedere un nuovo mandato sulla parola e sulle promesse. Invece che baloccarsi con proposte di legge sarebbe molto meglio affrontare i nodi del disagio della città con le forze sindacali ed imprenditoriali e prendere decisioni operative. Ecco perché dobbiamo sapere che il 15 novembre è un momento nel quale si deve far pesare la nostra volontà unitaria di impedire un ulteriore stallo sulle decisioni più urgenti da prendere e che riguardano la sorte di tanti lavoratori. “Noi non ci fermiamo” allora significa davvero che nessuno può immaginare che passato questo momento di lotta e mobilitazione tutto possa tornare come se nulla fosse accaduto. Basta con la politica da Gattopardi, i lavoratori edili di Roma del Lazio reclamano un’azione urgente che impedisca ancora nuovo degrado nelle infrastrutture, nel risanamento del tessuto urbano, nella messa in opera di quei progetti che possono significare davvero un rilancio dell’economia della città.
Giovanni (Agostino) Calcagno
Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio